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Visualizzazione dei post da febbraio, 2011

filologia addomesticata

Il nostro Marco Polo ritorna verso la reggia del Kahn attraversando lo Yunnan  cinese. La natura della zona assomiglia un po' a quell'Indocina che ha appena lasciato, con foreste laghi e fiumi, frutta e fiori, ma la popolazione ha usanze sociali (come si deduce dal post di Enrico!) e pure costumi alimentari un po' differenti. Insieme ad alcuni ingredienti in comune con l'Indocina come riso, funghi o frutta, tipici dello Yunnan sono infatti, oltre alle eccellenti ed ancora oggi rinomatissime varietà di tè, i salumi e addirittura i latticini, decisamente insoliti per la gastronomia cinese. Famoso il rubing , un formaggino di capra che nello Yunnan usano spesso saltato a cubetti con le verdure come fosse tofu e la cui origine è probabile derivi da contatti con la cultura alimentare indiana del paneer . Ma, dopo l'overdose di storia degli  ultimi  e   penultimi post, qui per una volta abbandoniamo la filologia della cucina d'epoca che ho sempre cercato di mante

la mente creativa è una polpetta riposata...

"Il riposo delle polpette è come il riposo dei pensieri: dopo un po', vengono meglio". Ovvero: lo storico Massimo Montanari è innegabilmente un genio! Secondo lui osservare i piccoli gesti quotidiani, le cose e le parole che ci capitano sotto gli occhi o ci attraversano la mente mentre cuciniamo, mette in luce i frammenti significativi della nostra storia in essi contenuti e ci apre la strada verso riflessioni profonde ed intuizioni fulminanti. In campo culinario e non. Le idee sono il risultato di incontri ed esperienze che si sedimentano nella mente e, dopo il giusto riposo, il loro amalgamarsi produce nuovi spunti. Un po' come le polpette, che nascono da una miscela di ingredienti conosciuti ma acquisiscono poi una propria identità ed un sapore inaspettato e "personale". Dunque la cucina è il luogo ideale dove mentre noi agiamo la mente può vagare ed osservare ed incamerare, dunque dove la mente si allena. Come sostiene Montanari, che cita in merit

cucina fusion di geografie e storie

Mi hanno chiesto recentemente di preparare una ricetta che identificasse il mio stile di vita e di cucina. Inizialmente avevo pensato ad un piatto giapponese (ma va?!), poi ci ho riflettuto e mi sono resa conto che le mie passioni sono composte, sia nella vita che nella cucina, da una fusione di storia e geografia: un continuo di letture e viaggi, approfondimenti e ricostruzioni, passato e presente, qui e altrove. Ho la necessità profonda di "capire", sono per natura una folle dietrologa, mi chiedo sempre il perché ed il "per come" di ogni avvenimento, di ogni incontro, di ogni personalità, di ogni piatto. Insomma: nel mio intimo per molti risulto pallosissima (!) ed ai loro occhi la mia è una cucina assurda. Quando mi hanno chiesto se cucino seguendo ricette codificate o inventando di mio in effetti ho risposto che forse non esiste una differenza precisa, dato che la mia creatività deriva talmente da tutto ciò che ho letto/visto e leggo/vedo che non saprei dist

l'inventiva delle vedove

E mentre il nostro Marco Polo si ritrova in Bengala e si diletta ad osservare i tatuaggi delle popolazioni locali, la vivandiera della sua carovana corre ad ispezionare le pulitissime cucine delle massaie bengalesi a caccia di ingredienti, ricette e trucchi del mestiere. In tutta l'India, infatti, gli abitanti del Bengala Occidentale sono famosi per la loro passione per il cibo e per la cura ammirevole dedicata dai cuochi ad ogni dettaglio anche delle ricette più semplici. Si dice che vivano per cucinare e per mangiare, nel senso che prestano molta attenzione agli aromi ed alla varietà dei piatti e degli ingredienti, tra cui spiccano riso e pesce. Il mio mondo, insomma... Anche se le materie prime in sostanza non differiscono troppo da quelle usate nelle regioni indiane limitrofe, la cucina bengalese si distingue per l'utilizzo sapiente e consapevole di alcune spezie, nel cui mix non manca mai il profumo pungente della senape in tutte le sue declinazioni. E ci sono profond

ricette complesse per cornicioni barocchi

Avevo pensato di preparare per San Valentino un cibo che raccontasse il mio rapporto con l'amore, su cui negli ultimi anni ho meditato più del solito. L'esperienza aiuta a non ripetere errori clamorosi ma non è mai abbastanza per garantire un risultato perfetto, la fortuna è utile ma da sola non porta alla costanza della qualità... e qui le analogie con la cucina si fermano perché quando si comincia a parlare di impegno... quello di un cuoco è unilaterale, in una coppia deve essere reciproco. Si è mai visto dell'impegno da parte di un sugo o di una torta?! Nulla è più difficile che ottenere la semplicità. Il mio rapporto con l'amore ha la stessa complessità di una pizza: secoli di tradizione riassunti in regole ben chiare, pochi ingredienti miscelati con equilibrio sapiente a formare una solida base di certezze e possibilità di variare all'infinito condimenti, decori e sfumature. Una ricetta veramente complessa. Ho sempre cercato di seguire la tradizione per q

tanti nomi tranne quello italiano...

L'altro giorno ho letto l'inno alla lunga cottura del Cavoletto , che a fine post chiedeva ai lettori di inviarle la propria ricetta preferita "di stufato/piatto unico a luuuunga e leeeeenta cottura". Incoscientemente, come al solito, perché lei non si rende mai conto della massa di gente che così stuzzicata poi si scatena...  Ne è uscita una sorta di raccolta di ricette regionali e di stufati internazionali da paura, materiale in abbondanza per pubblicare un libro a sé sul tema delle tradizioni gastronomiche che sanno di lentezza, cura e famiglia. Quasi da sentirsi frustrati, per una come me che non ha una storia familiare ricca di profumi di cucina. Direi che se ho imparato qualcosa da una madre (svizzera...) ed una nonna lavoratrici a tempo pieno sono fondamentalmente poche ricette veloci e l'utilizzo di surgelati, zuppe liofilizzate, lieviti istantanei e precotti vari. Le lunghe cotture le ho poi scoperte da sola e, se devo dirla tutta, non essendo appas

sequenze abituali

Il concetto di presentazione di una tavola nipponica a cui accennava il pasticciere giapponese Tsasuya Ywasaki nel suo intervento ad Identità Golose, è dai noi in Italia poco percepito. Spessissimo al ristorante siamo convinti di cenare all'orientale anche se sia l'elenco dei piatti nel menù sia l'arrivo delle portate in tavola seguono la sequenza per noi classica di suddivisione in antipasti, primi, secondi e contorni, e le porzioni sono tarate "all'italiana". Capita soprattutto in ristoranti ad insegna giapponese ma a gestione cinese, il cui intento è favorire il più possibile la familiarizzazione del cliente con piatti poco conosciuti e cercare comunque di vendere un numero alto di portate. In Giappone invece, come anche alla mensa quotidiana cinese, compaiono sulla tavola tanti piatti in contemporanea ma in porzioni relativamente ridotte: una carne o un pesce, un paio di verdure e/o sottaceti, una ciotola di riso ed un bordino non mancano mai anche ne

frutta o verdura?

Pagode d'oro, giungla, elefanti e frutta tropicale. Parte di un  immaginario comune qui in Occidente quando si pensa ad un paradiso lontano in cui fuggire. A meno di non essere  Marco Polo e di andarci poi davvero e restarci anche un po', non in vacanza ma per caso, per scelta e per interesse. Non penso per lui sarà stata una grossa sorpresa per Marco Polo trovare ricette che integravano ingredienti salati e dolci, ai suoi tempi ed in particolar modo nella mercantile Venezia il connubio era molto meno raro che ai giorni nostri. Basta pensare a come abbimao inìèmmaginato il suo banchetto in famiglia  prima di lasciare Venezia... La cosa non impressiona nemeno me, dato che non sono amante dei dolci tradizionali ed ho spesso ampiamente contaminato i generi sia nelle ricette qui nel blog che sulla mia tavola quotidiana ("luoghi" che per la verità in gran parte coincidono!). Così dopo inventatissime  tortine di cioccolato e melanzane  o costine di maiale marinate nei

identità della diversità

Di solito uno chef comunica attraverso la propria cucina. Ad Identità Golose invece ho assistito ad uno spettacolo. No, non per il fatto che gli chef parlassero da sopra un palco invece che dentro una cucina, ma perché hanno scelto di comunicare con mezzi diversi dal mestolo.  Identità Golose  è stata per me una meravigliosa lezione sulla comunicazione della cucina. Ognuno ha scelto lo strumento che più si sentiva addosso, ognuno ha rivelato qualcosa di sé che andava al di là della semplice trasmissione di un sapere, di una ricetta, di un messaggio. Cito brevemente, nell'ordine in cui mi sono arrivate, le emozioni regalatemi dagli acclamatissimi chef di cui altri blog parlano senz'altro meglio di me: 1- il video degli Alaimo sul chiacchiericcio inutile che perde di vista la fatica vera della cucina mi ha parlato del loro genio; la grande mano dello chef stellato che cerca quella piccola della sua bambina mi ha spiegato il suo lato "normalmente" umano; l'impr

precisazione:

Per carattere tendo a tenermi in disparte e so che un comportamento simile in rete rema contro la normale volontà di visibilità di un blog che si rispetti: ho ricevuto spesso critiche per questo.
Mi hanno anche fatto notare che non sempre racconto le manifestazioni a cui sono invitata da aziende e che non polemizzo con chi ha utilizzato i miei testi o le mie foto senza citare il mio blog.
Ringrazio con passione chi mi rivolge queste critiche per affetto e chi mi sopporta lo stesso, nonostante non segua i loro consigli!