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Visualizzazione dei post da marzo, 2011

attraversando il ponte

Fatico moltissimo a vivere normalmente, in questo periodo. Forse perchè il contatto costante con l'emergenza ed il dolore altrui non è stato fortunatamente finora per me nella vita uno stimolo tanto "quotidiano" per il cuore... e non riesco a farci il callo. Mi rendo conto però che la cupezza interiore non aiuta affatto l'azione e toglie invece energie. Così provo a darmi una scossa, a ripescare gli appunti accantonati e a tuffarmi in una leggenda, leggera e serena, che mi distragga per un po'. Senza andare poi troppo lontano dall'Oriente e dalle storie di gentilezza e dedizione... Avevamo infatti lasciato quel gran girellone di Marco Polo , nel ruolo di emissario del Kahn, che ritornava in Cina dal suo viaggio nei Paesi limitrofi. Mentre io ultimamente mi distraevo lui, rientrato nei confini cinesi, ha continuato a percorrere lo  Yunnan , curiosando ovunque ed occupandosi, come raccontava bene Enrico qualche giorno fa,di denaro, di cibo e soprattutto di don

il respiro di Dio

Kamikaze è un antico termine che significa "vento di Dio" e per i Giapponesi si è sempre riferito ad un provvidenziale tifone che nel 1281 disperse la flotta mongola di Kublai Kahn che cercava di attaccare le loro coste. Con la Seconda Guerra Mondiale la stampa internazionale diede questo nome a soldati giapponesi, spesso piloti di aerei, che si caricavano di esplosivo e si scagliavano contro obiettivi nemici per essere certi, a scapito della vita, di procurare al bersaglio il maggior danno possibile. I Giapponesi invece hanno sempre chiamato questi guerrieri tokkōtai , un termine tecnico che significa semplicemente "unità d'assalto speciali". Il collegamento probabilmente deriva dal nome di alcune squadre della Marina Imperiale a cui veniva aggiunto il termine shinpū , che nella grafia kanji contiene un ideogramma che forma anche la parola kamikaze . Anche di recente, quando il termine si è allargato a definire in generale guerrieri suicidi di ogni nazio

senza confini, intrinsecamente

Piove. Lacrime che bagnano la bandiera italiana oggi esposta alla finestra, in un giorno che celebra l'unità di un popolo molto giovane, che non ha ancora bene imparato cosa significhi davvero essere uniti nel bene e nel male, per costruire insieme una cultura comune. Il popolo giapponese invece, forse perché abita da secoli un arcipelago che il mare separa dal resto del mondo e definisce fisicamente come "mondo a sé", questo problema dell'eccesso di microcampanilismo non l'ha mai vissuto. E le immagini di questi terribili giorni che ci parlano di forza, dignità ed impegno condivisi e comuni sono evidentissima e diretta testimonianza di cosa si intenda, senza che nessuno abbia perso la propria identità, per "cultura comune"... Per l'MTC di  Menù Turistico  di marzo avevo deciso a priori che avrei pubblicato oggi la ricetta in questione, declinandola in tricolore qualsiasi sarebbe stato il tema. Poi in Giappone si sono abbattuti terremoti, tsu

cucina come preghiera

La cucina è una forma di omaggio. Che sia offerto a degli esseri umani, a degli dei o allo spirito di chi ci ha lasciati, in tutte le civiltà e tutte le epoche il cibo ha rappresentato dedica, accoglienza e  rispetto. Ci pensavo nel rispondere nello scorso post ad un commento che sottolineava come una ricetta sappia esprimere uno stato d'animo. Mi è venuto infatti istintivo raccontare che ero appena stata a pranzo da una persona giapponese. Sì, il giorno del terremoto, lei attaccata ad internet cercando notizie di amici e parenti in Giappone, io sulla via di un sentito funerale italiano. Tra occhi lucidi e gesti silenti, moti di rabbia e parole di rassegnazione abbiamo reciprocamente condiviso emozioni e cucina. E lei, partita anni fa dal Giappone per imparare a cucinare italiano e rimasta invece in Italia a cucinare giapponese, mi ha spiegato come i suoi movimenti in cucina siano semplici espressioni di amore verso la cultura del Paese di appartenenza e verso gli ospiti che

la cravatta di Saro

Tardo dopoguerra. Saro vive in Sicilia e da quando ha quindici anni lavora come commesso. I tempi sono duri, è mancato papà e le maniche vanno rimboccate. Quando diventa maggiorenne decide che vuole un diploma, così si mette pure a studiare. Cinque anni in uno, sui libri la sera, la mattina presto, al posto del pranzo, 'che non ha tempo da perdere e poi deve lavorare lo stesso. Faticoso, massacrante. Perde quasi dieci chili ma ce la fa. E da lì non lo ferma più nessuno. Si da da fare, cambia impiego, "fa carriera". Sempre nel campo della vendita, perchè lui è bravo con la gente, ha intuito e parlantina, si tiene informato e soprattutto è molto sicuro di sè. Lo promuovono, lo chiamano dalla concorrenza, lo cercano anche dal Nord. E decide di partire. Per farla breve: in una decina d'anni non solo diventa dirigente d'azienda, ma gli nasce l'intuizione commerciale che rivoluzionerà il mercato del suo settore. Non ha grandi risorse quindi si mette in società

bambini allegri

- Mamma, vado a fare una passeggiata. - Va' pure, Giovanni, ma stà attento quando attraversi la strada. - Va bene, mamma. Ciao, mamma. - Sei sempre tanto distratto. - Sì, mamma. Ciao, mamma. Giovannino esce allegramente e per il primo tratto di strada fa bene attenzione. Ogni tanto si ferma e si tocca. - Ci sono tutto? Sì, - e ride da solo. E' così contento di stare attento che si mette a saltellare come un passero, ma poi s'incanta a guardare le vetrine, le macchine, le nuvole, e per forza cominciano i guai. Un signore, molto gentilmente, lo rimprovera: - Ma che distratto, sei. Vedi? Hai già perso una mano. - Uh, è proprio vero. Ma che distratto, sono. Si mette a cercare la mano e invece trova un barattolo vuoto. Sarà proprio vuoto? Vediamo. E cosa c'era dentro prima che fosse vuoto? Non sarà mica stato sempre vuoto fin dal primo giorno...  Giovanni si dimentica di cercare la mano, poi si dimentica anche del barattolo, perché ha visto un cane zo

quelli che puzzano di burro...

Capita di proporre piatti giapponesi che contengono burro. Sono tutte preparazioni che, per quanto "tradizionali", hanno comunque origine relativamente recente. L'utilizzo della carne era abbastanza raro in generale e la produzione ed il consumo di latticini in terra nipponica infatti sono presenti dalla seconda metà dell'800, per espolodere poi negli anni '60 con il velocizzarsi del processo di occidentalizzazione della società e della gastronomia giapponese. Prima della seconda guerra mondiale i contatti con gli Occidentali storicamente furono scarsissimi ed il Giappone fino a metà dell'800 era politicamente, economicamente, culturalmente e militarmente isolato rispetto al mondo occidentale, a parte gli antichi contatti nel XVI secolo con missionari portoghesi e sporadici rapporti con mercanti olandesi. Quando si riaprirono i confini giapponesi nel 1868 i primi Inglesi ed Americani misero piede sul suolo nipponico, i loro occhi chiari e capelli biondi e

precisazione:

Per carattere tendo a tenermi in disparte e so che un comportamento simile in rete rema contro la normale volontà di visibilità di un blog che si rispetti: ho ricevuto spesso critiche per questo.
Mi hanno anche fatto notare che non sempre racconto le manifestazioni a cui sono invitata da aziende e che non polemizzo con chi ha utilizzato i miei testi o le mie foto senza citare il mio blog.
Ringrazio con passione chi mi rivolge queste critiche per affetto e chi mi sopporta lo stesso, nonostante non segua i loro consigli!